Economia del Mare

Da un’attività di ricognizione complessiva del sistema economico marino, approfondita fra l’altro fino al massimo livello classificatorio delle attività economiche, l’economia del mare si compone di sette settori principali:

  1. filiera ittica: comprende le attività connesse alla pesca, la lavorazione del pesce e la preparazione di piatti a base di pesce, includendo anche il relativo commercio all’ingrosso e al dettaglio;
  2. industria delle estrazioni marine: riguarda le attività di estrazione di risorse naturali dal mare, come ad esempio il sale, piuttosto che petrolio e gas naturale con modalità off-shore. Si tiene a precisare che per questo settore le stime si sono dovute fondare su alcune ipotesi tali da consentire di individuare all’interno dell’attività estrattiva quella riconducibile al mare7;
  3. filiera della cantieristica: racchiude le attività di costruzioni di imbarcazioni da diporto e sportive, cantieri navali in generale e di demolizione, di fabbricazione di strumenti per navigazione, di istallazione di macchine e apparecchiature industriali connesse e, infine, l’attività di distribuzione all’ingrosso e al dettaglio di natanti;
  4. movimentazione di merci e passeggeri via mare: fa riferimento a tutte le attività di trasporto via acqua di merci e persone, sia marittimo che costiero, unitamente alle relative attività di assicurazione e di intermediazione degli stessi trasporti e servizi logistici;
  5. servizi di alloggio e ristorazione: sono ricomprese tutte le attività legate alla ricettività, di qualsiasi tipologia (alberghi, villaggi turistici, colonie marine, ecc.) e quelle chiaramente relative alla ristorazione, compresa ovviamente anche quella su navi;
  6. ricerca, regolamentazione e tutela ambientale: include le attività di ricerca e sviluppo nel campo delle biotecnologie marine e delle scienze naturali legate al mare più in generale, assieme alle attività di regolamentazione per la tutela ambientale e nel campo dei trasporti e comunicazioni. Inoltre, in questo settore sono presenti anche le attività legate all’istruzione (scuole nautiche, ecc.);
  7. attività sportive e ricreative: ricomprende le attività connesse al turismo nel campo dello sport e divertimento, come i tour operator, guide e accompagnatori turistici, parchi tematici, stabilimenti balneari e altri ambiti legati all’intrattenimento e divertimento (discoteche, sale da ballo, sale giochi, …).

L’economia del mare però non si esaurisce solo nelle attività che rientrano direttamente nel perimetro di definizione, ma produce degli effetti indiretti in diverse altre attività economiche, tanto a monte quanto a valle della filiera. Secondo una stima di Unioncamere, le attività appartenenti all’economia del mare garantiscono nel territorio del FLAG un moltiplicatore pari a 1,5 (a fronte di un moltiplicatore pari a 1,9 per l’Italia). In pratica, 1,5 sta a significare che per ogni euro di valore aggiunto prodotto dall’economia del mare, si attivano sul resto dell’economia altri 1,5 euro come effetto indotto.

L'occupazione

Come si è visto, l’economia del mare si compone di sette settori principali, che in linea generale sono animati da attività economiche riconducibili quasi esclusivamente ad imprese private e solo in minima parte da istituzioni pubbliche. Il valore aggiunto e l’occupazione sono i due indicatori principali per descrivere le dimensioni economiche di un determinato fenomeno: ebbene, in Italia, nel 2011 le attività riconducibili all’economia del mare hanno prodotto complessivamente un valore aggiunto di oltre 41 miliardi di euro, con un’incidenza sul totale dell’economia pari al 2,9%, a cui corrisponde un’occupazione di circa 800mila persone, corrispondenti al 3,2% dell’occupazione complessiva del Paese. Si tratta di cifre importanti, non solo in termini assoluti, ma soprattutto se comparate con altri settori dell’economia: basti pensare che, sempre a livello nazionale, nel comparto del tessile il valore aggiunto arriva a grandezze pari a poco più della metà (21 miliardi di euro di valore aggiunto corrispondenti all’1,5% del totale economia) di quanto prodotto dall’economia del mare; cifre equivalenti più o meno a quelle del settore delle telecomunicazioni (22 miliardi; 1,6%), oppure al settore del legno, carta ed editoria, in cui il valore della produzione (poco meno di 15 miliardi; 1%) equivale a circa un terzo di quello realizzato dalla stesa Blue Economy. Dal punto di vista territoriale, i dati sul valore aggiunto e l’occupazione dimostrano che, nonostante la posizione geografica, il Mezzogiorno non primeggia nell’economia del mare. Un dato questo che denota un evidente sottoutilizzo delle risorse potenziali, dovute probabilmente al ritardo infrastrutturale del Sud Italia ovvero – leggendolo in modo più propositivo – corrispondente ad un formidabile potenziale di sviluppo. Basti considerare che soltanto un terzo dei 41 miliardi di euro di valore aggiunto provenienti dall’economia del mare nazionale si concentra nelle regioni del Sud (meno di 14 miliardi), mentre la regione Calabria, nonostante i suoi 780 km di costa, copre soltanto il 2,7% del totale, pari ad appena 1,1 miliardi di euro (l’8% del Mezzogiorno). Più elevata invece è la quota di occupati nell’economia del mare del Mezzogiorno, dove si concentra il 39% (313mila unità) del totale nazionale, così come è più alta la quota assorbita dalla Calabria, pari al 3% (25mila occupati). La tabella seguente mostra i valori assoluti degli occupati nei diversi settori dell’economia del mare nell’area GAC, suddivisi per provincia. Non è stato volutamente preso in considerazione il settore della ristorazione in quanto impossibile stabilire delle connessioni tra gli occupati e le attività marittime.

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Fonte: elaborazioni su dati da “L’economia del mare della provincia di Catanzaro” e “L’economia del mare della provincia di Reggio Calabria”, CAMCOM Camere di Commercio d’Italia, Universitas Mercatorum, CONTESTI srl – 2012

Muovendoci all’interno dei settori che costituiscono l’economia del mare, si scorgono degli elementi interessanti per comprendere la direzione verso cui indirizzare le politiche di sviluppo, proprio nell’ottica di valorizzare il potenziale rilevato e colmare il gap ad oggi esistente in termini di dotazioni infrastrutturali e offerta di servizi adeguati allo sviluppo imprenditoriale di questo particolare segmento dell’economia. Tuttavia, per comprendere più a fondo il fenomeno, è utile continuare a comparare i dati provinciali con quelli regionali, di ripartizione geografica e nazionali, alternando i due indicatori utilizzati fin qui (valore aggiunto ed occupazione). Non sono poche, infatti, le informazioni inaspettate che emergono osservando i dettagli della distribuzione settoriale. A tal fine può tornare utile suddividere i sette settori dell’economia del mare in tre blocchi ideali: un primo gruppo costituito dalle attività legate al turismo (alloggio-ristorazione) e divertimento assieme a quelle connesse alla ricerca, più orientato all’innovazione, all’utilizzo “dolce” del territorio e allo sviluppo di produzioni con un impatto ambientale maggiormente “regolabile”; un secondo blocco formato da settori più “pesanti” come la cantieristica, i trasporti e l’estrazione di materiali dalle acque e dai fondali marini; un terzo blocco, mono-settoriale, riconducibile alla filiera ittica, che comprende, come già precisato, sia la pratica della pesca in senso stretto che le attività di trasformazione e commercio del pesce. Osservando i dati con questa lente interpretativa emerge allora un sistema mare italiano particolarmente vivace nei settori innovativi: un terzo dei 41 miliardi di euro prodotti a livello nazionale dall’economia del mare è infatti riconducibile ad attività di alloggio e ristorazione (31%; quasi 13 miliardi di euro) che rappresentano i comparti “core” del turismo, seguiti dal cosiddetto “terziario avanzato” (ricerca, regolamentazione e tutela ambientale), che corrisponde a quasi un quinto del valore aggiunto complessivo (18%; più di 7 miliardi di euro); mentre è molto distanziato il contributo proveniente dal settore delle attività sportive e ricreative (6%, pari a 2,5 miliardi di euro). In totale, questo primo blocco rappresenta più della metà del valore aggiunto complessivo realizzato dall’economia del mare italiana (55%, 22,7 miliardi di euro) e quasi il 60% degli 800mila occupati, pari a 467mila unità, suddivise rispettivamente in 287mila impiegate nel turismo (36%), 119mila nella ricerca e tutela del territorio (15%) e 62mila nel comparto sportivo e ricreativo (8%). Un primo elemento che risalta comparando questi dati con le aree territoriali oggetto di analisi, è il progressivo aumento dell’incidenza di questi tre settori nell’economia del mare, in termini sia di valore aggiunto sia di occupati, in Calabria e nell’area del FLAG. Se infatti nel Mezzogiorno il valore aggiunto aggregato di turismo, ricerca-tutela ambientale e attività sportive e ricreative è pari al 65% del totale dell’economia del mare della ripartizione, a livello regionale supera il 70%, fino a sfiorare l’84% nell’area del FLAG.

Le Imprese

La capacità produttiva e occupazionale dell’economia del mare è il frutto del lavoro di una moltitudine di imprese che, ciascuna per le proprie competenze, contribuiscono a generare valore aggiunto e ad offrire occupazione per questo importante segmento economico del Paese. Alla fine del 2012, in Italia, sono quasi 211mila le imprese dell’economia del mare iscritte nei Registri delle Imprese delle Camere di commercio, pari al 3,5% del totale nazionale, di cui più dei tre quarti (162mila unità) concentrate nei 645 comuni costieri della nostra Penisola. Nel Secondo Rapporto sull’Economia del mare pubblicato da Unioncamere nel 2013, è stata proposta una lettura che metteva a confronto i dati sulle imprese con quelli relativi al valore aggiunto e all’occupazione. Sebbene questi ultimi due aggregati comprendano anche una minima parte di attività riconducibili alla Pubblica amministrazione (marina militare, capitanerie di porto, autorità portuali, attività previdenziali e assicurative dei marittimi), sono emersi interessanti spunti di riflessione. In particolare, nel Rapporto è stata proposta un’ulteriore suddivisione dei sette settori in altri tre gruppi: il primo è caratterizzato dai settori che contribuiscono maggiormente alla numerosità imprenditoriale dell’economia del mare e meno in termini di valore aggiunto e occupati (ne fanno parte la filiera ittica e le attività sportive e ricreative); il secondo, invece, raccoglie i settori che contribuiscono sostanzialmente in egual misura alla dimensione imprenditoriale, economica ed occupazionale (servizi turistici e cantieristica); il terzo, infine, è composto dai settori che svolgono un ruolo di maggiore spessore sul piano produttivo e occupazionale rispetto alla numerosità delle imprese (industria estrattiva, trasporti marittimi e ricerca-tutela ambientale). La classificazione funziona discretamente anche nel Mezzogiorno e fornisce una lettura interessante per le sue evidenti implicazioni di policy, specialmente se utilizzata nell’analisi di una realtà economica come quella meridionale, diffusamente caratterizzata da uno scarso dinamismo imprenditoriale e un cronico problema di tipo occupazionale. Osservando allora il imprenditoriale meridionale dell’economia del mare, dai dati emerge anzitutto che su 100 imprese italiane di questo tipo, ben 41 sono registrate nelle Camere di commercio del Meridione, per un totale complessivo di oltre 87mila imprese. Ricalcando la classificazione utilizzata nel paragrafo precedente, di queste oltre la metà (45mila) appartiene ai settori del primo gruppo, quello costituito prevalentemente dai comparti core del turismo (30mila), dall’intrattenimento e lo sport (quasi 13mila) e in misura minore dal settore della ricerca e della tutela ambientale (oltre 2mila). All’interno dell’economia del mare, circa un’impresa su quattro (24,1%) in Italia fa parte invece del raggruppamento dei settori più “pesanti”, quello che comprende cantieristica, trasporti e industrie estrattive, per un totale di oltre 50mila attività, concentrate prevalentemente nel settore della cantieristica (32mila, pari al 15% del totale imprese dell’economia del mare) e nella movimentazione di merci e persone (18mila, pari al 8%), mentre è più marginale, al solito, l’industria estrattiva (meno di 800 imprese, lo 0,3% del totale). Nel Mezzogiorno, le imprese appartenenti a questo raggruppamento arrivano a rappresentare un quinto del totale dell’economia del mare (16-17mila, pari al 19% del totale meridionale delle imprese dell’economia del mare) e sono distribuite in modo piuttosto simile alla media nazionale, con una prevalenza nella cantieristica (10mila, pari al 12% del totale), seguita dalla movimentazione delle merci (5-6mila, 6%) e da una quota ancora residua dell’industria estrattiva (500 imprese, lo 0,6%). Scendendo nell’analisi dell’economia del mare della Calabria, le imprese appartenenti a questi tre settori, cantieristica, movimentazione merci e industria estrattiva, rappresentano il 14% (poco più di mille unità) del totale regionale imprenditoriale dell’economia del mare, con proporzioni che si articolano nel seguente modo: oltre 700 imprese nella filiera della cantieristica (9%); più di 300 nella movimentazione di merci e persone (4%); 104 nell’industria estrattiva (oltre l’1%). Per quanto riguarda la filiera ittica, infine, tutte le aree territoriali considerate presentano un’incidenza delle imprese appartenenti a questo segmento dell’economia del mare che varia dal 20% a livello nazionale (42mila imprese) e nel caso della Calabria (1.800), al 23% del Mezzogiorno (20mila). Non si registra dunque una sproporzione del settore al Sud (dove comunque si concentra quasi la metà di questo tipo di imprese) rispetto alle altre aree del Paese. Ciò è dovuto alla presenza nel computo delle imprese della filiera ittica di quelle attività impegnate nella trasformazione del pesce, che non è obbligatoriamente legata alla presenza del mare. Non sorprende neanche, quindi, l’assenza di un’eccessiva variazione sull’incidenza percentuale delle imprese insediate nei comuni non costieri tra dato nazionale (35%), Mezzogiorno (31%) e Calabria (26%). A questo punto, il quadro descritto fornisce gli elementi per agevolare finalmente la lettura dei dati relativi al tessuto territoriale dell’area FLAG, che si compone di circa 3.000 imprese, di cui soltanto poco più di cento insediate nei comuni non costieri. Dal punto di vista della distribuzione settoriale, anche le imprese dell’economia del mare dell’area si concentrano prevalentemente nel settore turistico costituto dalle attività di alloggio e ristorazione (circa 42%), seguito dal settore della filiera ittica (oltre 20%), da quello delle attività sportive e ricreative (quasi 17%) e da quello della cantieristica (circa 12%). Sono molto più marginali, invece, non solo le imprese dei trasporti e dell’industria estrattiva, ma anche quelle della ricerca e della tutela ambientale (4%), a cui invece è attribuita una quota di valore aggiunto e occupazione di tutt’altro rilievo. Riprendendo la classificazione proposta nel Secondo Rapporto sull’Economia del Mare, la situazione specifica dell’area dello Ionio centro-meridionale si adatta perfettamente a quella emersa dall’analisi del dato italiano: ad una grande vitalità imprenditoriale nel settore turistico e della filiera ittica catanzarese corrisponde altrettanta capacità produttiva e una base occupazionale all’altezza.